L’epica storia dell’Arma dei Carabinieri si incrocia con quella non meno gloriosa di Angelo Vassallo. Il primo cittadino di Pollica, il “sindaco pescatore”, da quanto emerge è stato ucciso due volte. La prima grazie a nove pallottole di pistola, la seconda dalle carte che hanno deviato il corso delle indagini che dovevano portare all’incriminazione dei responsabili.
Sono passati più di quattordici anni da quell’indimenticabile 5 settembre 2010 e persino le immagini del film dedicato a questo martire dei clan sbiadiscono dinanzi alla ricostruzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno.
Le oltre 400 pagine dell’Ordinanza applicativa di misura cautelare personale nei confronti di quattro imputati gettano nello sconforto anche i più inossidabili “innocentisti” che – giustamente – ritengono colpevole solo chi abbia concluso il suo iter processuale al provvedimento definitivo del terzo grado di giudizio.
E’ la stagione dei “superpoliziotti” che aleggiano nelle torbide atmosfere delittuose. Ne abbiamo uno nell’incontenibile vicenda dello spionaggio digitale che ha palesato le pietose condizioni della cybersecurity nazionale, ne abbiamo un altro in un contesto criminale meno sofisticato che allarma chi non ha mai preso sul serio la sicurezza tradizionale.
A pagina 9 sconforta scoprire che il “sindaco pescatore” sia stato ucciso da persona di cui si fidava. Si legge infatti che “la posizione del corpo al momento del rinvenimento, con la mano appoggiata sul freno a mano e con il cellulare, i piedi sui pedali, le chiavi inserite e il finestrino sinistro abbassato, lasciavano ragionevolmente supporre che la vittima fosse stata attesa e bloccata da una persona che conosceva tanto bene da indurla ad arrestare la marcia del veicolo ed abbassare il finestrino per interloquire”.
Vassallo aveva detto “ho paura che mi fanno fuori, tengo paura che mi fanno fuori, torno a casa sempre prima di mezzanotte, non faccio mai la stessa strada e non mi fermo con chiunque incontro per strada, anche se è un amico”.
Una decina di giorni prima del suo brutale assassinio il sindaco aveva confidato “di aver visto e saputo delle cose che in vita sua non avrebbe mai voluto vedere e sentire”. Aveva appuntamento il 6 settembre 2010 con l’allora capitano Raffaele Annicchiarico comandante della compagnia CC di Agropoli, indicatogli dal dottor Greco – procuratore di Vallo della Lucania – come affidabile, ma una manciata di proiettili calibro 9 hanno impedito l’incontro e il racconto che Vassallo teneva in serbo.
La lettura della lunga e dettagliatissima ordinanza lacera il cuore e a più riprese emerge la sensazione (o forse la disperata speranza) che si tratti di una efferata narrazione di fantasia. Ci si trova invece dinanzi ad una attenta e rigorosa ricostruzione che travolge chi ne scorre allibito le righe.
Immaginare il coinvolgimento di un militare dell’Arma nella banda di criminali fa semplicemente rabbrividire e la pianificazione ed esecuzione dell’omicidio immergono nello sconforto.
Sulla scena del delitto c’è chi – secondo una sua prassi e forse senza precauzioni ai fini probatori – solleva da terra bossoli da mostrare ai giornalisti e raccoglie “cicche” quasi fosse una giornata ecologica…
A pagina 9 dell’ordinanza a firma del Giudice per le Indagini preliminari dottoressa Annamaria Ferraiolo “sul luogo dell’ omicidio veniva rinvenuta la patte terminale di una sigaretta Lucky Strike che presentava fluido salivare certamente attribuibile” ad uno delle quattro persone tratte in arresto.
Il fumo fa male, si sa, ma non sempre soltanto alla salute. Ci sarebbe anche la storia di Giancarlo Siani e delle “Merit lunghe” trovate sul posto cui forse all’epoca non venne dato il “giusto peso”…