«A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degli interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, facciamo appello e domandiamo l’adesione al nostro programma» (Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo)
La fondazione del Partito popolare è stata “l’avvenimento più notevole della storia del XX secolo” (Federico Chabod uno dei maggiori storici che l’Italia abbia mai avuto)
“Io sono dell’opinione che la mia vita appartenga alla comunità, e fintanto che vivo è un mio privilegio fare per essa tutto quello che mi è possibile.” (George Bernard Shaw)
Un secolo fa, il 18 gennaio 1919, don Luigi Sturzo rivolgeva l’appello ai liberi e forti per “Il servizio al bene comune” dando l’avvio all’ingresso nella vita pubblica italiana dei cattolici. L’appello era rivolto “a tutti gli uomini liberi e forti … senza pregiudizi né preconcetti, perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Tralascio, in questa sede, l’aspetto storico del fatto che Sturzo gettò le basi del Partito Popolare cui parteciparono i cattolici che fino a allora si erano tenuti fuori dalla politica per l’antico contrasto risorgimentale tra la Chiesa e lo Stato unitario.
Voglio, invece, soffermarmi a considerare tale evento e l’ispirazione democratico-liberale ad esso legato del cattolicesimo politico perché da qualche tempo si è riaccesa la discussione su un nuovo impegno politico dei cattolici italiani. Sembra ormai certo che il derby popolarismo contro populismo sia iniziato e che la Chiesa abbia voglia di riacquistare protagonismo in politica – secondo il pensiero sturziano – con “un Partito non dei cattolici ma di cattolici”.
Sturzo, infatti, non pensava per niente, a un Partito confessionale, ma puntava a una rivendicazione orgogliosa dell’autonomia dei cattolici nelle sfere della vita politica, senza nessun cedimento all’idea di fare dei Popolari il “braccio secolare” delle gerarchie della Chiesa. E questa credo sia oggi l’idea predominante dei cattolici italiani con in testa i loro Vescovi.
Da qualche tempo anche il Papa sta intervenendo con vigore nel dibattito politico pubblico sul tema dell’immigrazione. D’altra parte sarebbe innaturale che la Chiesa stesse zitta, facesse finta di niente, su un problema che potrebbe diventare di dimensioni bibliche: rischierebbe di essere accusata un domani di non aver applicato il Vangelo. Ecco perché da mesi Vescovi,
Cardinali e, sempre più spesso, anche papa Francesco sono intervenuti pubblicamente sulla politica. Due esempi della presa di posizione del Papa che dice:
“Si facilitino le misure che permettono l’integrazione sociale nei Paesi di accoglienza. Occorre che ci si adoperi perché le persone non siano costrette ad abbandonare la propria famiglia e nazione, o possano farvi ritorno in sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani”. Inoltre, siccome si sta ripetendo quello che avvenne tra le due guerre mondiali, quando le propensioni populiste e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni, il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, il Papa ha lanciato il suo nuovo allarme contro il ritorno dei populismi: “Preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e perseguire i singoli interessi nazionali”.
L’attuale situazione italiana (ma non solo) presenta qualche analogia con il periodo storico vissuto da don Sturzo, per questo è tornato d’attualità un maggior impegno dei cattolici in politica attraverso una partecipazione attiva al servizio del bene comune “rispettosa sia di una ben intesa integralità del cristianesimo che di una sana laicità della politica”. Credo che anche la Chiesa oggi non auspichi la rinascita della Democrazia Cristiana ma, seguendo l’idea di don Sturzo, una forma politica laica e di chiara ispirazione cristiana completamente libera e indipendente da condizionamenti e senza alcuna connotazione confessionale.
Mentre un secolo fa don Sturzo fu criticato dalla gerarchia ecclesiastica leggo che, nella situazione attuale, questa stia rivalutando la sua persona e il suo pensiero politico. Addirittura mi sembra sia prossimo a essere proclamato Beato. Anche il cattolicesimo laico sostiene che l’intuizione di don Sturzo con l’Europa al centro sia un punto di partenza per uscire dall’attuale crisi della politica puntando sul popolo con una visione cristiana. Ecco cosa scrive un anno fa su l’Avvenire.it Roberto Rossini, Presidente delle Acli:
“…Oggi attorno al popolo si coagulano idee meno positive. Il populismo, l’emotività come fenomeno collettivo, l’incompatibilità con le pur necessarie élite, la spinta verso la disintermediazione: tutto sembra suggerirci che il popolo non è più considerato la sede dalla coesione sociale, della virtù morale o religiosa. D’altra parte i dati statistici e i rilievi sociologici ci dicono di una disgregazione morale, di un venir meno della pratica religiosa, di un sovranismo psichico che attanaglia tutti. È possibile ancora parlare del popolo in termini positivi? È possibile che il popolo possa ancora essere un soggetto positivo della nostra storia politica? Sì, se si riparte – come Sturzo – dalle energie che esprimono i Comuni e le comunità, le civitas. Occorre che il «mondo cattolico», nelle città, riesca a dar vita a spazi civici, a forum e a luoghi dove riappropriarsi dei temi pubblici secondo le categorie della politica. Occorre animare politicamente le città, recuperando una storia e uno slancio di futuro …”.
Sono convinto anch’io che bisogni tornare ad essere “popolari” come intendeva don Sturzo con un’azione di testimonianza cristiana, potenziando e riallacciando, dove sono state distrutte, le relazioni con le varie associazioni e realtà di ispirazione cristiana sensibili al sociale per realizzare un “pluralismo ordinato”. Così il popolarismo sturziano potrebbe creare fiducia nella buona politica e aiutare a superare la grave crisi culturale e sociale attuale rappresentando un antidoto all’antipolitica e alla deriva populista.