Fra le attività umane che conoscono un deprecabile successo fin dalla notte dei tempi rientra certamente il prendersi a mazzate per le ragioni più disparate e puntualmente risibili ad una rilettura attenta ed immancabilmente successiva. E questo lo abbiamo fatto “sempre e dovunque” come recita il motto dell’artiglieria italiana (della quale ho fatto parte per tutto il mio periodo di servizio nelle Forze Armate).
Figuriamoci dunque se combattere in un tunnel può essere considerato una novità nel panorama dei campi di battaglia che hanno visto il raffinamento dei modi per farsi la pelle escogitati dai nostri predecessori, migliorati e resi sempre più micidiali nel corso dei secoli.
Non credo di fare tanta fanta storia, anzi preistoria, se immaginassi che gli uomini della pietra si sono fracassati le ossa per il possesso di caverne più spaziose, articolate, fresche, ventilate, inaugurando la forma di combattimento che ventimila anni dopo vediamo come l’ultima frontiera dello scontro armato.
Lo scavo sotterraneo è sempre stato scelto come forma di intrusione occulta nelle piazzeforti avversarie o come via di fuga dalle città assediate, insomma, combattere sotto terra è sempre stata un’opzione possibile e sicuramente praticata da tutti gli insiemi armati di uomini, dalla tribù a seguire.
Oggi che morire baciati dal sole nel campo di biondo grano non è proprio l’opzione romantica più gradita alle fanterie mondiali, figuriamoci sottoterra, la tecnologia è chiamata a risolvere o provare a risolvere tutti i problemi legati alle difficoltà di trasmissione di dati wireless a sessanta metri nel sottosuolo vuoi per sapere dove è e dove va l’unità infiltrata, vuoi per alimentarne lo sforzo (acqua, munizioni, viveri, batterie…) sgomberarne i feriti, comunicare nuovi ordini sulla base delle informazioni trasmesse….
Sì perché non sempre il sistema di tunnel nel quale le unità si vanno ad infilare ha una pianta nota o è strettamente legato agli edifici in superficie, tipo ospedali, fabbriche oppure linee della metro, sistemi fognari diversi, cavidotti più o meno estesi.
Nel caso di Gaza invece, che è la condizione che ha richiamato l’attenzione sul “dominio sotterraneo” (ma sarà un dominio o è un sottodominio dell’ambiente urbano? ), ci riferiamo a un sistema di combattimento completo. Intanto che questo viene impiegato, attaccato ed in parte smantellato, decine di architetti-soldato, estensori ed inventori di dottrine di guerra, si sta spremendo le meningi per incasellare opportunamente questa new wave di settore, per comprendere se si tratti di un genere di nicchia o di una grande area emergente per il comparto “security” che merita investimenti faraonici per studiarne le soluzioni come solo i cugini d’oltreoceano sanno fare.
Gaza, il sistema di gallerie, la cui costruzione ha significato lo smaltimento di tonnellate di terra rimossa, il trasporto di sacchi e sacchi di cemento, il consumo di ettolitri d’acqua, lo stendimento di chilometri di cavi elettrici, di condotte per la ventilazione e lo smaltimento di gas, l’installazione di gruppi elettrogeni, impiegando centinaia di operai per trasporto e messa a dimora, è uno strumento di comando e controllo, logistica e di combattimento quando non di manovra.
Esso consente non solo lo stoccaggio di armi e materiali ma l’accesso a postazioni di tiro per i missili autoprodotti e addirittura l’infiltrazione e il recupero di intere formazioni di attacco. Lo potremmo immaginare non già come una rete passiva di cunicoli bensì come un mezzo di combattimento completo, un’arma attiva schierata nel sottosuolo in grado di auto sostenersi per lunghi periodi; come un carro armato o una nave da battaglia interrati.
Insomma, è il caso di andarsi ad infilare in un tunnel dove tutto il potenziale d’attacco è rappresentato dal primo uomo della fila e dal suo fucile d’assalto che il Pietro Micca di turno o una trappola ben piazzata sono in grado di fermare? O come per un veicolo corazzato od un bastimento basta una bella perforante o un siluro per impedirgli di nuocere.
Che fare dunque di un sistema di gallerie pensato, badate bene, per fare la guerra e non adattato da altri usi per l’occasione e gestito da combattenti che pensano che tirare le cuoia in battaglia sia di gran lunga il miglior sistema di welfare ideato dall’uomo? Allagarlo? Interrarlo? Bruciarlo? Quante perdite costerebbe “bonificarlo” e che sicurezza mi garantirebbe chiuderne gli accessi e le gallerie che posso aver scovato? Saranno mai tutte?
Se il combattimento sotterraneo è un genere di nicchia o un grande nuovo “dominio” con radici antiche, oltre cielo, terra, mare e cyber non sta certo a me definirlo, ma di sicuro lo scontro fra “regolari” e “fanatici”, anche questo non del tutto nuovo, non fa che aumentare la tragicità della contesa.