“Nessuno viene qui senza un’ottima ragione”. Potrebbe averlo detto Alessio Butti, senatore e sottosegretario all’Innovazione Tecnologica, quando ha deciso di nominare gli otto esperti che dovranno – tra l’altro – aiutarlo a risolvere la fastidiosa bega della cosiddetta “identità digitale”.
“The Hateful Eight” sono gli otto odiosi del film di Quentin Tarantino, pellicola di cui l’incipit di questa pagina era la frase d’effetto che compariva sui manifesti dei cinematografi. Otto come quelli di Butti, odiosi almeno per chi – dopo anni di lavoro – si sente dire “Fatti più in là” come nel ritornello delle Sorelle Bandiera.
L’apparizione dell’ennesimo “team” di specialisti può essere interpretata in due modi.
Primo: una nostra connazionale – emula della piccola Bernardette Soubirous – può gridare al miracolo e finalmente fare via Internet qualunque cosa importante senza mettersi in coda in uffici irraggiungibili.
Secondo: le tante articolazioni statali preposte al settore (dalla Agenzia per l’Italia Digitale al Ministero per la Pubblica Amministrazione) non sono capaci di fare il loro mestiere o non hanno neanche un esperto in grado di occuparsi seriamente della questione.
Confido nella prima ipotesi e sono certo che, in un baleno, un discendente di un celebre navigatore genovese estrarrà dalla tasca un uovo (rigorosamente bio) e riuscirà a far stare in piedi quel che la forma non rende particolarmente stabile.
Potrei quindi smettere di scrivere, limitandomi a ricerche genealogiche sugli “otto” per vedere chi tra i babbi, i nonni o i trisavoli ha sposato una “Colombo”. Invece mi lascio trascinare nella discussione da chi intravede in quella squadra una manifesta usurpazione di competenze e poteri.
Di invasione c’è già quella russa in Ucraina, dovremmo farcela bastare. Ma la circostanza, soprattutto per chi si occupa di certe cose non proprio da ieri, non passa affatto inosservata ed impone almeno una breve riflessione.
Parliamo chiaro. Paolo Zangrillo, ministro per la Pubblica Amministrazione, non può pretendere di entrare in scena semplicemente indossando la felpa o il pullover verde oliva che è d’ordinanza per chi combatte un sopruso. “Palazzo Vidoni” era già stato – giusto o non giusto che fosse – escluso da tempo dal doversi occupare del rapporto telematico tra cittadino e P.A. e dall’ottimizzazione/digitalizzazione dei servizi che proprio lì era iniziata con il compianto Ministro Remo Gaspari e il DG Giancarlo Scatassa negli anni Ottanta…
Erano i bei tempi in cui si diceva che non erano i cittadini a dover fare la via Crucis degli sportelli pubblici, ma toccava a certificati e documenti muoversi da un sistema informatico all’altro senza pesare sulla comunità…
Torniamo a noi.
Chi dovrebbe porsi quesiti esistenziali è invece l’AGID o Agenzia per l’Italia Digitale che di SPID et similia se ne è sempre occupata, resistendo alle mareggiate di Commissari straordinari, Comitati e altre orde di super-esperti chiamati in campo dal politico di turno o dal suo mega-tecnico dai taumaturgici poteri.
AGID resta in panchina, non esce dagli spogliatoi o addirittura vede la partita dagli spalti senza nemmeno sedere in tribuna?
Chi non segue l’evoluzione tecnologica del Paese (ad onor del vero caratterizzata da un sempre più appannato “fermo immagine”) si chiede legittimamente cosa stia succedendo.
Semplice. Il servizio che garantisce l’identificazione virtuale del cittadino è crollato sotto il peso dei suoi costi. Sono scadute le convenzioni alla fine dello scorso anno e sono state prorogate d’ufficio dall’Agenzia per l’Italia Digitale fino al prossimo aprile.
In pratica il cosiddetto SPID sta esalando l’ultimo respiro dopo una breve e sofferta esistenza, priva di quelle soddisfazioni che qualunque sforzo – anche inconcludente – merita di ottenere.
Uno Stato incapace di organizzare e gestire l’identificazione ed il riconoscimento a distanza della sua collettività aveva affidato in concessione questo genere di servizio ad una serie di “certificatori” privati, passando la croce ad una pletora di Cirenei disposti a salire sul Calvario nella speranza di guadagnarsi non il Paradiso ma il giusto profitto.
L’esperienza non può certo considerarsi una storia di successo e viene da chiedersi a chi si debbano fallimenti e disincanti e da domandarsi se si doveva attendere la scadenza (avvenuta due mesi fa) per prendere qualsivoglia iniziativa.
Rincuora che tra gli “Hateful Eight” ci sia gente che abbia già lavorato insieme per alcuni anni all’interno della “Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Custodia di contenuti digitali”.
L’affiatamento è fondamentale e sapere che almeno quattro di loro abbiano avuto ruoli diretti e indiretti nel medesimo sodalizio rafforza speranze ed auspici dei cittadini.
Il professor Donato Limone – storico personaggio dell’informatica giuridica – non ha cariche istituzionali nell’ANORC ma è uno degli animatori delle sue attività. L’ingegner Giovanni Manca è il Presidente della Associazione, mentre l’Avvocato Andrea Lisi ne è il vice Nazionale e presiede ANORC Professioni. Il dottor Gianni Penzo Doria, nei comunicati indicato come direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, è stato Presidente ANORC Professioni dal 2013 al 2016 e vicepresidente nazionale dal 2011 al 2013 e dal 2016 al 2018.
La partecipazione alla task force è gratuita ma qualche immancabile malfidato, invece di apprezzare il disinteressato slancio dei volontari, si dice perplesso dinanzi alla pagina web https://anorc.eu/lobby/ che a suo dire farebbe arricciare il naso.
In quella pagina si lascia intendere il ruolo dell’ANORC e si legge testualmente che, per chi non lo sapesse, “lobby” è “Gruppo di persone in grado di influenzare a proprio vantaggio l’attività del legislatore e le decisioni del governo o di altri organi della pubblica amministrazione”.
La definizione parla di “influenzare a proprio vantaggio” e individua un bersaglio che potrebbe addirittura coincidere con chi è inconsapevole promotore dell’ingaggio. Vedere che destinatari dell’influenza (che non sembrerebbe un effimero malanno di stagione) sono “l’attività del legislatore e le decisioni del governo” potrebbe subito indurre qualcuno a pensar male. E siccome “a pensar male si fa peccato” chi lo ha fatto si sbrighi a recitar Pater, Ave e Gloria…