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ULTIMO CAPITOLO DELLA TRILOGIA PRIAPEA:
LE MATRONE ROMANE NON SEMPRE ANDAVANO PER IL SOTTILE

di Massimo Di Muzio
23/01/2023
in RIFLESSIONI
ULTIMO CAPITOLO DELLA TRILOGIA PRIAPEA:LE MATRONE ROMANE NON SEMPRE ANDAVANO PER IL SOTTILE
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TE LO LEGGO IO

Come Asimov, gli Autori hanno deciso di concludere con questo articolo (forse… dipende dall’umore o dagli spunti, basti pensare al binomio Matteo Messina Denaro e Viagra) la trilogia su Priapo e sui suoi discepoli: come diceva Virgilio “si parva licet componere  magnis”!

Nel Giulio Cesare, Berthold Brecht fa risaltare l’entusiasmo, nelle chiacchiere da gineceo, di colei che aveva appena comprato uno schiavo numida cui il suo bracciale poteva fungere da cintura: come il toro bravo di Hemingway in Death in the afternoon, tutto torace e fianchi sottili fino al bacino.

Ma non solo! L’Alto Nilo forniva esemplari da encomio. 

Anche l’Abruzzo conserva ed esporta tradizioni di possanza.

Percorrendo l’antica via Tiburtina -Valeria[1], nella valle del Pescara verso Roma, a Piano d’Orta si incontrava fino agli anni ’90 del XX secolo, la Antica Taverna da Papilo, sulla destra, verso il fiume. Discendente da non nobile famiglia,  serviva soprattutto i camionisti, prima dell’autostrada.  

 

Di  rango elevato, in Roma antica, furono invece gli Asinii. Gaio Asinio Pollione, marrucino di Teate (Chieti), fu protettore in Roma nientepopòdimenoché  di Virgilio, che dedicò al  figlio l’egloga IV delle Bucoliche:  il puer sarà portatore di una radicale rivoluzione futura della vita degli uomini che potranno godere di un’età straordinaria di pace e benessere dopo il periodo tragico delle guerre civili. Un augurio da trasferire oggi all’est-Europa, al medio Oriente, al Sahel… e mettere Taiwan sotto la sua protezione.

Fra le gentes patrizie [cioè discendenti dalle dodici famiglie del primo Senato ab urbe condita dal buon Romolo, figlio della lupa (absit injuria verbis)] le famiglie più antiche furono la gens Aemilia, la gens Claudia (giunta a Roma dalla Sabina nel 504 a.C.), la gens Cornelia, la gens Curtia, la gens Fabia, la gens Valeria[2]. Quella della strada consolare verso est, appunto.

Altre gentes come la Iulia o la gens Quinctia vennero ospitate da Roma quando Alba Longa fu conquistata e distrutta dai romani di Tullo Ostilio. Forte era l’attrazione per l’Urbe, per la capitale dell’Impero, per la vita sociale (paragonabile oggi a Milano, Londra, Parigi, Berlino, New York, Los Angeles, Shanghai, Capetown tutte insieme contemporaneamente).

L’immigrazione fu osteggiata, ma la Lega italica ottenne combattendo la cittadinanza romana estesa all’Italia centrale. E i poeti (Carmina non dant panem…) trovarono invece accoglienza e onori, pasti caldi e patére di Falerno. Qualcuno si spinse troppo oltre e ne fu esiliato nell’estrema Tule, perché molte, ma non tutte le matrone, anche se consenzienti , potevano essere impunemente conquistate: il sulmonese Publio Ovidio Nasone lasciò all’Impero l’Ars Amandi, libro istruttivo, ma non proprio per educande!

L’abbiamo già citato in un precedente peana  sulle chiappe femminili. [C’è differenza ad essere Regina, Giano news 11/12/2022].  Ad altri spettò il ruolo minore di clientes: comparse, nel mondo del lusso, nel cinemascope dei banchetti, dei triclini e delle letture dei versi o dei canti nei ‘salotti buoni’.  E così fu per l’ispanico Marziale,  cresciuto nell’ambito della gens Annea, quindi Seneca e Lucano, che racchiuse negli Epigrammata il flash di una immagine spesso caricaturale e distorta della realtà e dei personaggi del mondo spesso torbido che frequentava. Prende spunto da Catullo [Piangete o Veneri,  piangete Amori, è morto il passero della mia Clori (Nugae)] e da Autori che hanno scritto anche in modo scabroso, se necessario. Un Oscar Wilde latino. L’obiettivo degli epigrammi  è solo suscitare ilarità, far ridere senza nessun obiettivo dichiaratamente morale: servono per sbarcare il lunario, analizzando però la  società dei contemporanei e descrivendone a tratti impietosi e irridenti i personaggi che venivano così caricaturati e sbeffeggiati. Una fiera dei vizi con ben poche virtù, che non gli valse gran simpatia tra i patrizi; e, senza gran fortuna, se ne tornò in Spagna.

Perché insistere tanto con Marziale?

Annunciammo [Ricordo di Madame Récamier, Giano news, 13/12/2022] la Festa della Liberazione dai nazisti il 28 dicembre del 1944, ricorrenza celebrata in Ortona, città martire della battaglia del Sangro, con un premio «a un concittadino che ha dato lustro alla città e che ne ha promosso la conoscenza al di fuori dei confini comunali», attribuito a Rocco Tano, in arte Rocco Siffredi, pornodivo. Scelta divisiva, maliziosamente interpretata come ‘sdoganamento’ del cinema porno… .«Ma non è così», sillaba il sindaco, promotore:  «Questo premio nasce per proiettare la nostra città su un livello internazionale e sicuramente Rocco Tano rappresenta un personaggio conosciuto in una platea che va oltre i confini nazionali», consegnando l’Alfiere dello scultore  Valter Polleggioni al Re del porno.

E si può negare che gli vada almeno l’invidia di tutti i maschi, alfa o gregari, del mondo?

E qualche sospiro di qualche signora?

In Ortona passò Annibale due anni prima di massacrare i romani a Canne; da Ortona partì ‘Re Sciaboletta’ sulla corvetta Baionetta, portando a compimento la distruzione della monarchia Savoja, la cui capitale il duca Emanuele Filiberto, detto ‘Testa di Ferro’, aveva trasferito in Torino nel 1563, attribuendo patenti regie alle famiglie piemontesi nobili e patrizie.

In passato, il premio de l’Alfiere è andato al chirurgo Ettore Cianchetti, fondatore del centro senologico dell’ospedale; a Sonia Albanese, prima donna a eseguire un trapianto cardiaco in Italia;  al pittore Michele Cascella, figlio di Basilio, fratello di Tommaso, zio di Pietro… amici del pittore  Michetti e del poeta D’Annunzio; al sacerdote francescano Gianmaria Polidoro; a Donna Mira Cespa, che donò ai Salesiani i terreni per costruire il primo centro di recupero per tossicodipendenti. E poi ancora la musica, nella città del compositore Francesco Paolo Tosti: a Francesco Sanvitale, fondatore dell’istituto nazionale tostiano e al baritono Renato Bruson. Fino allo scorso anno, quando sono stati premiati gli operatori sanitari in prima linea contro il Covid.  Un bel pedigree.

E dunque che cosa unisce Marziale al possente Rocco?

L’abruzzesità di Papilo, antica Taverna sulla strada Tiburtina Valeria:  l’avo nel gentilizio fu celebrato in Roma e di lui è rimasta traccia nei secoli.

Epigrammatum liber III, XXXVI:

“Mentula tam magna est, tantus tibi, Papile, nasus,

ut possis, quoties arrigis, olfacere.”

E cioè:

 “Sì lungo il naso, il bischero

Sì sperticato hai tu,

che puoi fiutarlo, o Papilo,

quando si volta in su.”

(Traduzione del cav. P. Magenta, 1842).

Non ebbe l’Alfiere, Papilo, né premi al festival del porno-Cannes o porno-Los Angeles: ma di lui è rimasta traccia nella letteratura nei secoli. Auguri, Rocco!

  

Massimo Di Muzio

Pier Enrico Gallenga


[1] Strada consolare che univa Roma a Pescara, il Tirreno all’Adriatico e antica via della transumanza.
[2] Uno degli Autori di questo articolo fa notare che fra le famiglie patrizie romane vi era anche la gens Mucia, a cui apparteneva Gaio Muzio Scevola e gli attuali Muzi, Di Muzio,…
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