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GLI EROI DEL 2 GIUGNO FORSE NON SONO QUESTI

di Umberto Rapetto
03/06/2021
in EDITORIALI
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Le Forze Armate e quelle di Polizia hanno appena celebrato il 75mo genetliaco della nostra amata Repubblica. Giornata storica, caratterizzata un tempo da parate e schieramenti e oggi da più semplici deposizioni di corone e contenute cerimonie, sempre importante per ricordare il sacrificio delle persone grazie alle quali oggi viviamo in libertà e nel rispetto di un ordinamento democratico.

Se i Fori Imperiali e l’Altare della Patria hanno calamitato l’attenzione indistinta degli italiani, in ogni angolo del Paese c’è stato modo di festeggiare in un endemico fervore patriottico secondo solo a quello che pervade la popolazione ai Mondiali di calcio o in altre analoghe occasioni.

Caserme e uffici sono diventati la ribalta per segnalare chi si è particolarmente distinto, magari meritando “riconoscimenti di ordine morale” che più di un premio in denaro riescono a motivare sia chi lo riceve sia chi – prendendone esempio – si augura di riuscire ad emulare le gesta dei colleghi più ardimentosi.

I discorsi ufficiali non si sono certi distanziati dalle significative parole del Presidente Mattarella che ha voluto esprimere “l’abbraccio dei cittadini alle Forze Armate” sottolineando che “Ad esse va la riconoscenza del Paese per la dedizione al servizio e il valore dimostrati anche nella complessa e delicata situazione emergenziale che minaccia la nostra salute, il nostro benessere e il libero esplicarsi delle nostre esistenze.”

È fuor di dubbio che i militari di ogni ordine e grado abbiano saputo esprimere competenza e generosità.

Le attività poste in essere hanno fatto meritatamente guadagnar loro stima e gratitudine da parte dei cittadini, ma è probabile che il loro operato rientrasse nel quotidiano espletamento del proprio dovere.

I “normali” impegno e dedizione nell’assolvimento di compiti “ordinari” sono stati in alcuni casi tramutati in atti di “eroismo” il cui valore è stato cristallizzato in “encomi”, ovvero in attestazioni formali che conferiscono punteggio al destinatario e ne agevolano la carriera in virtù di meriti eccezionali.

La lettura delle motivazioni per la concessione di simili “diplomi” fa pensare a straordinarie gesta perché – come nel caso di un Comando Regionale della Guardia di Finanza – si scopre di personale che “sin dall’insorgere dell’emergenza, si prodigava nella tempestiva e concreta applicazione di tutte quelle misure che hanno permesso di affrontare adeguatamente la fase endemica e limitarne gli effetti negativi”.

Si ha l’impressione che si debba a queste fiamme gialle il progressivo miglioramento della drammatica situazione nazionale. Il testo dell’encomio riporta frasi auliche del tipo “Tale pregevole condotta, tenuta anche a favore di articolazioni diverse da quella di appartenenza, fortemente incise dall’epidemia, si sostanziava, in particolare, nella puntuale attuazione di plurime e coordinate iniziative sia in tema di sanificazione del parco autoveicoli regionale e degli ambienti lavorativi, che di distribuzione e corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e prodotti igienizzanti”. 

In pratica l’essersi occupati della “sanificazione” di un po’ di autovetture o di stanze d’ufficio o l’aver distribuito le mascherine e il gel (spiegandone il “corretto utilizzo”, cioè mascherine sul viso e gel sulle mani…) è interpretato come salvifico.

In altri ruoli avrebbero brillato per audacia e prodezza quelli che hanno contribuito alla ardimentosa “attuazione di plurime e coordinate iniziative volte a garantire l’approvvigionamento di beni essenziali, quali D.P.I. e prodotti igienizzanti, in modo da integrare efficacemente le forniture centralizzate, di specifiche attrezzature per la sanificazione di ambienti lavorativi, locali comuni ed automezzi, nonché in concrete azioni di supporto ed assistenza al personale posto in quarantena e/o isolamento fiduciario presso le strutture del Corpo”.

Ha meritato l’encomio persino chi dava luogo a “plurime e coordinate iniziative finalizzate a garantire l’ottimale operatività delle infrastrutture informatiche, particolarmente sollecitate, anche in ragione dell’innovativo ricorso al «lavoro a distanza»” dimenticando che in GdF il remote working era stato sperimentato con successo già trent’anni prima pur non disponendo degli attuali strumenti.

In chiusura di ogni “encomio semplice” si legge un autorevole “suscitando il plauso della Superiore gerarchia”, che testimonia quanto poco basti per entusiasmare chi ha responsabilità di comando.

Nessuno nega il buon operato degli interessati, ma non si cada nell’errore di sottovalutare l’impatto del conferimento di certe “medaglie”.

Certi riconoscimenti alterano il ciclo biologico di una organizzazione, trasformano il fare diligentemente quanto previsto in un atto di prodezza e nobiltà, penalizzano tutti gli altri colleghi che a parità di valore si vedono superati, squalificano uno strumento di gratificazione che un tempo ricompensava chi davvero si era distinto in ben più meritorie imprese.

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Umberto Rapetto

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