Nel 2019, un tragico incidente in Florida ha visto un’auto Tesla, con il sistema Autopilot attivato, travolgere una giovane coppia ferma sul ciglio della strada. Naibel Benavides Leon, 22 anni, perse la vita; il suo fidanzato, Dillon Angulo, riportò ferite gravissime. Da quel giorno è iniziata una battaglia legale durata cinque anni dai risvolti tecnici piuttosto interessanti, e dalle conseguenze ancora più importanti in relazione al dibattito sulla sicurezza della guida assistita e alla ricostruzione delle responsabilità.
Il “buco” nei dati
Subito dopo l’impatto, i dati critici dell’auto – il cosiddetto “collision snapshot” – sono stati caricati automaticamente sui server centrali di Tesla. Questo archivio contiene informazioni preziose: cosa hanno rilevato le telecamere, come hanno reagito i sistemi di assistenza e se il conducente è stato avvertito in tempo.
Eppure, per anni, Tesla ha sostenuto che quei dati fossero irrecuperabili. Per la famiglia Benavides e per Angulo, quei dati erano fondamentali per ricostruire la dinamica dell’incidente e dimostrare eventuali malfunzionamenti dell’Autopilot.
La svolta è arrivata quando il team legale ha deciso di rivolgersi a un esperto noto online come @greentheonly, un hacker che da anni smonta computer di bordo Tesla per analizzare il comportamento del software. Con il chip del veicolo tra le mani, collegato a un semplice laptop in un bar Starbucks vicino a Miami, l’hacker ha trovato ciò che tutti cercavano: il pacchetto completo dei dati, ancora presente ma marcato per la cancellazione.
La ricostruzione della tragedia
Grazie al recupero delle informazioni, è stato possibile generare un video dettagliato degli ultimi secondi prima dell’impatto.
Le immagini hanno mostrato che il sistema aveva rilevato un veicolo a circa 52 metri e un pedone a 35 metri di distanza. Eppure l’Autopilot stava ancora pianificando una traiettoria “fantasma”, come se la strada proseguisse, senza alcun segnale di allarme per il conducente.
Questa ricostruzione, chiara e inequivocabile, è stata presentata alla giuria durante il processo a Miami, smontando l’idea che il sistema avesse operato come previsto.
Il processo e il verdetto
Dopo tre settimane di dibattimento, la giuria ha stabilito che Tesla fosse responsabile per il 33% dell’incidente, condannandola al pagamento di 243 milioni di dollari tra risarcimenti compensativi e punitivi.
Tesla, che ha annunciato ricorso, ha ammesso di aver gestito in modo “goffo” i dati, ma ha respinto qualsiasi accusa di volontaria omissione. Tuttavia, per la giuria, il comportamento dell’azienda – caratterizzato da scarsa trasparenza e ritardi nella condivisione delle informazioni – ha avuto un peso determinante nella decisione finale.
Il nodo della trasparenza
La vicenda ha messo in luce un tema cruciale: la gestione dei dati da parte delle case automobilistiche, in questo caso Tesla. Pur non essendoci prove definitive di una cancellazione volontaria, le testimonianze hanno mostrato come i sistemi dell’azienda rendano difficile, se non impossibile, accedere ai dati in caso di incidente.
“Se un incidente come questo accadesse oggi, non potrei più recuperare i dati”, ha commentato l’hacker, denunciando l’inasprimento delle restrizioni sull’accesso alle informazioni.
Il caso solleva una domanda cruciale: in vicende delicate come la ricostruzione di un incidente mortale, possiamo affidarci a dati gestiti da un’unica azienda?
Come garantire la trasparenza quando la guida è assistita o autonoma e i dati, dalle telecamere ai sensori, sono interamente gestiti dal produttore?
Il contesto globale
Il caso di Miami arriva in un momento delicato per l’intero settore della guida assistita. Negli Stati Uniti, il sistema Full Self-Driving (FSD) è ancora in fase di supervisione, mentre in Europa non è ancora autorizzato per l’uso pubblico.
Le normative europee, molto più rigide, richiedono test approfonditi e certificazioni specifiche, e ad oggi solo alcuni paesi hanno avviato progetti pilota. In questo contesto, il dibattito sulla sicurezza, la trasparenza e la responsabilità delle aziende è destinato a intensificarsi.
Gli esperti di sicurezza stradale e di tecnologia hanno sottolineato come il caso di Miami rappresenti un precedente importante: per la prima volta, una giuria ha pesantemente sanzionato l’azienda non solo per le potenziali lacune del sistema, ma anche per la gestione opaca delle prove.
Sarebbe utile che questo campanello d’allarme risuonasse anche per i nostri legislatori: senza trasparenza sui dati, nessun sistema potrà essere considerato davvero sicuro.