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PROMESSA VERA: QUALI POSSIBILI LEZIONI

Carlo Rubino di Carlo Rubino
18/04/2024
in SCENARI
PROMESSA VERA: QUALI POSSIBILI LEZIONI
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TE LO LEGGO IO

Sabato scorso abbiamo tutti assistito, con il fiato sospeso, alla tanto annunciata operazione “Promessa Vera”: la ritorsione iraniana per l’uccisione a Damasco del generale Mohammad Reza Zahedi, il comandante iraniano che lavorava, insieme ad alcuni altri alti ufficiali dei Pasdaran (tutti uccisi) per armare e coordinare i gruppi militari che, per conto dell’Iran, attaccano Israele dal Libano e dalla Siria.

Le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso in diretta le immagini delle scie dei droni e dei missili che hanno solcato i cieli del medio oriente alla volta dello Stato ebraico, per punire l’eterno nemico dell’Iran.

I comandanti iraniani, già dal girono dopo, hanno decantato la potenza di fuoco impiegata e lo straordinario successo conseguito nel colpire e danneggiare quasi tutti gli obiettivi che erano stati designati quali target.

“The operation has been carried out more successfully (https://www.tasnimnews.com/fa/news/1403/01/26/3068031/) than expected. The information on the missiles hitting the targets is not complete yet, but part of the impacts about which we have accurate, documented and ground reports illustrate that the operation has been accomplished with greater-than-expected success,” Islamic Revolutionary Guards Corps (IRGC) Commander Major General Hossein Salami said, referring to the “Operation True Promise” in retaliation to the Israeli airstrike on the consular section of the Iranian embassy in Damascus on April 1.

In Israele i vertici del IDF hanno sottolineato, invece, che con la collaborazione degli alleati dell’area (una inedita coalizione formata da Arabia Saudita, Giordania, Gran Bretagna, Francia oltre agli Stati Uniti) sono stati abbattuti e distrutti il 99% dei missili e dei droni lanciati, sia dall’Iran che dalle milizie Huthi dello Yemen e Hezbollah dal Libano meridionale.

Come interpretare le dichiarazioni dei due contendenti?

Cerchiamo di analizzare cosa sia successo e quali lezioni si potrebbero trarre dagli accadimenti.

La prima lezione è che, la prima volta, l’Iran ha cercato di colpire direttamente lo Stato ebraico, anziché farlo per interposta persona, tramite le “sue” milizie (ricordiamo che l’Iran finanzia, addestra, e supporta logisticamente e come armamenti, Hamas e la Jihad islamica in Palestina, gli Hezbollah in Libano, gli Huthi in Yemen, oltre a diversi altri gruppuscoli regionali di stampo terroristico).

La teoria sino ad oggi espressa dalla Guida Suprema Alì Kamenei, secondo cui il non rispondere alle provocazioni e il non cadere nelle trappole tese dai nemici, era la vera dimostrazione di forza di un Regime, è stata per la prima volta ribaltata.

Il capo dei Guardiani della rivoluzione, Hossein Salami, ha ribadito che tutto è cambiato: “Abbiamo deciso di creare una nuova equazione. Questa nuova equazione prevede che, da ora in poi, se (Israele) attacca gli iraniani o gli interessi iraniani, ovunque lo faccia, la vendetta arriverà dall’Iran”.

Indubbiamente si tratta di un notevole cambio di passo rispetto alla strategia sino a qui seguita dai leader Iraniani. Ma questa volta il regime “doveva” dimostrare di non essere un gigante dai piedi di argilla e che, come avvenne per la uccisione del gen. Soulemani nel 2020, la strage di Damasco non poteva non essere vendicata.

Doveva altresì mostrare i muscoli non solo sulla scena internazionale, ma anche e in particolare su quella interna: dal primo di aprile molte sono state le manifestazioni di dissenso dei cittadini iraniani e dai pochi sindacati ancora “liberi”, rispetto alla linea politica del regime.

Dopo il 7 Ottobre, per le strade di Teheran erano state dipinte le bandiere americana e di Israele (come spesso avviene in simili occasioni) per far “calpestare” le stesse dai passanti: ma molti hanno preferito strisciare lungo i muri piuttosto che sottostare a questa sorta di diktat, e gli studenti universitari hanno fischiato i pochi che si sono fermati a calpestare la bandiera israeliana.

Giorni fa, negli stadi, le autorità avevano imposto un minuto di silenzio per celebrare la memoria del Gen. Reza Zahedi. Questa una figura che per la popolazione iraniana è legata in modo quasi indelebile a persecuzioni interne e rastrellamenti degli oppositori del regime degli ayatollah, piuttosto che a meriti e risultati nella decennale guerra contro Israele. Ebbene pochi hanno aderito a tale richiesta: negli stadi al contrario è stato fatto molto, molto rumore in quel minuto. Così come (ad esempio) i tifosi del Persepolis ai quali era stato chiesto di sventolare le bandiere palestinesi, quale forma di supporto alla loro causa, hanno risposto con frasi e gesti irripetibili.

Per questo, il giorno dopo l’attacco ad Israele, la televisione iraniana si è precipitata nel far vedere scene apocalittiche di incendi e distruzione: per sottolineare la forza e la capacità di distruzione dello Stato islamico contro uno dei più efficenti sistemi di difesa del Medio Oriente.

Peccato che le scene lanciate in televisione siano vecchi filmati di incendi avvenuti in Cile, anni ed anni fa.

Il capo dello Stato Maggiore delle forze armate iraniane, il gen. Mohammad Hossein Baqeri ha ribadito che l’operazione è stata un successo, ammonendo al contempo gli USA a non intervenire al fianco dei loro alleati, pena la distruzione delle basi che gli stessi hanno nell’area.

“A considerable number of drones and cruise and ballistic missiles have been used in this operation with wellthought- out tactics and proper planning, as neither the Iron Dome nor the Zionist regime’s missile defense shield could take any significant action against this operation. The operation’s purposes have been fulfilled,”

La seconda lezione che possiamo trarre è che l’operazione “Promessa Vera” ha anche evidenziato come, al momento, il regime iraniano sia isolato, e sia visto dalle altre potenze dell’area come un elemento di instabilità regionale, al contrario di Israele.

La scelta di campo della Giordania e, principalmente, dell’Arabia Saudita di collaborare con gli Stati Uniti per la difesa dello Stato ebraico, dimostra che proprio quel fronte regionale di collaborazione per la stabilizzazione dell’area, messo in campo dalla diplomazia americana in questi anni, che doveva portare al riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita e che l’attacco del 7 ottobre aveva cercato di bloccare, ha tenuto: anzi nel momento del bisogno, si è compattato, nonostante i distinguo ancora esistenti.

Altra lezione è che nonostante lo straordinario successo della coalizione difensiva, che ha contribuito a distruggere il 99% tra droni, cruise e balistici lanciati nel corso dell’operazione “Promessa Vera”, già al di fuori del territorio israeliano, 9 missili iraniani sono riusciti a “bucare” lo scudo: 5 missili balistici hanno centrato la base aerea di Nevatim (da cui operano gli F-35), mentre altri 4 hanno raggiunto un’altra base nel deserto del Negev.

Proprio questo limitato successo, se pur non sminuisce la capacità straordinaria dimostrata dallo scudo messo in atto, costituisce (forse) la principale lezione e preoccupazione di questa nuova fase dei rapporti Iran/Israele.

Preoccupazione, perché qualora gli ayatollah decidano di replicare in futuro l’operazione “Promessa Vera”, aumentando ulteriormente il numero di droni, cruise e balistici si potrebbe arrivare a saturare le capacità difensive israeliane e della coalizione, risultando in tal modo l’attacco probabilmente più efficace.

Lezione che dovrà servire ad Israele, principalmente, ed ai suoi “nuovi” alleati regionali, per mettere a punto nuovi sistemi di difesa, anche maggiormente integrati, in grado di vanificare un possibile nuovo attacco, e quindi, per certi aspetti, rafforzerà la loro possibile unione, accelerando in tal modo il processo per il riconoscimento di Israele da parte dell’Arabia Saudita.

Israele può al momento tirare un sospiro di sollievo, visto che ha superato l’ennesimo esame: e la sua popolazione, la cui fiducia era stata seriamente intaccata dopo il 7 ottobre, nel momento in cui è uscita dai rifugi la mattina di domenica scorsa, ha potuto farlo guardando con maggiore ottimismo al futuro.

La Repubblica Islamica, nonostante il piccolo e limitato “successo”, ha dichiarato urbi et orbi che con l’operazione “Promessa Vera” considerava chiuso qualsiasi contenzioso con Israele (almeno per ora). Quindi può ora solo sperare che non ci siano ulteriori strascichi e che la reazione israeliana sia in linea con l’auspicio del Presidente Biden, che ha chiesto al suo alleato, forte dell’aiuto messo in campo per la sua difesa, di non reagire all’attacco iraniano, per non causare una ulteriore escalation del conflitto nell’area.

Vediamo cosa ci prospetta il futuro.

 

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Carlo Rubino

Carlo Rubino

Maturità scientifica presso la Scuola Militare Nunziatella, laurea in Ingegneria Aerospaziale presso la facoltà di ingegneria dell’Università Federico II di Napoli (1987), ha conseguito nel 2008 il Master in “Geopolitica e Relazioni Internazionali” presso la SIOI, con una tesi sulla diffusione dell’energia nucleare, per scopi civili, nei paesi Arabi. Già generale dell’Aeronautica Militare (proveniente dai corsi regolari, corso Zodiaco III), è stato Direttore del 11° RMV, curandone la trasformazione a RMV responsabile della gestione della flotta C 130J per l’Aeronautica Militare. Specialista nell’ambito del programma EuroFighter, prima, e Capo Sezione per il programma Tornado, poi, presso la Agenzia NETMA, è stato uno dei responsabili della certificazione dei sistemi d’arma Eurofighter, M-346, NH-90 e CH-47 F presso la Direzione per gli Armamenti Aeronautici e l’Aeronavigabilità, prima in qualità di Capo Sezione e poi come Capo del 1° Ufficio, oltre che rappresentante italiano in diversi consessi internazionali in ambito europeo (EDA, MAWA Forum, JMAAN). Ha lavorato presso il IV Reparto dello SMA ed è poi stato Consigliere del “Sottosegretario di Stato alla Difesa” per i programmi internazionali (XV e XVI Legislatura). Ha chiuso la sua carriera in Aeronautica Militare quale Capo Ufficio Generale del Capo del Corpo del Genio Aeronautico. Si occupa ancora, quale ingegnere, di certificazione aeromobili (principalmente ULM) e prosegue nella sua passione di analisi e studio delle politiche internazionali, in particolare dei paesi arabi e del Medio Oriente.

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