Mi ero ripromesso di non scrivere nulla in quest’estate restandomene inoperoso almeno fino alla fine di settembre, quand’ecco che appare sullo schermo TV il faccione di un noto politico che annuncia bel bello un provvedimento volto a tassare gli extra profitti delle banche.
Lì per lì ho pensato ad una boutade che peraltro sarebbe stata congruente con l’indole goliardica del personaggio ed ho archiviato la questione tra gli spam del mio cervello (che ormai fa invidia alla discarica di Malagrotta).
Purtroppo il giorno successivo mi sono accorto che questa simpatica battuta non era stata colta dai mercati, notoriamente sprovvisti di senso dell’umorismo, con il risultato di mandare in fumo una decina di miliardi di capitalizzazioni di borsa.
Niente male considerando che la manovra annunciata dal novello Robin Hood si prefiggeva l’ambizioso traguardo di recuperare 4/5 mld (la metà quindi di quelli polverizzati in borsa) attestandosi poi più mestamente il giorno successivo a 2/2,5 dopo la precipitosa corsa ai ripari che avrà comportato una notte in bianco per gli sherpa del MEF.
A quel punto io che non mi arrabbio mai, mi sono arrabbiato moltissimo.
In primis perché mi toccava rimettermi a scrivere senza averne alcuna voglia.
In secundis, perché dopo più di 40 anni di lavoro nel settore del credito mi vedevo costretto al ruolo di difensore d’ufficio delle banche quando invece agognavo a quello di pubblico ministero, essendomi peraltro puntigliosamente preparato a questo scopo per anni.
Provo a sistemizzare partendo appunto dall’inizio e cioè dall’annuncio in tv del provvedimento, annuncio sgangherato non tanto nei contenuti (che non c’erano) quanto nella forma approssimativa e sbilenca.
Questa è probabilmente la ragione per cui l’ABI permanga in gelido silenzio, evitando di commentare esternazioni che stonerebbero anche al bar sotto casa e preferendo attendere di leggere il provvedimento.
Io che invece non sono l’ABI posso permettermi di formulare qualche considerazione assumendomi il rischio di essere auspicabilmente smentito dai fatti.
Ma cosa ha detto infine il novello Robin Hood per scatenare questo putiferio?
Molto banalmente che sarebbero stati tassati gli extra profitti delle banche.
Cosa si intende per extra profitto? Non l’ha detto. Come verrebbe calcolato? Nemmeno.
A fare chiarezza interviene il giorno successivo la Presidente del Consiglio ribadendo che è sacrosanto tassare i ricavi ingiusti delle banche.
Ora si che è chiaro! E quali sono i ricavi ingiusti di grazia ? E quelli giusti? Il Codice Civile cosa prevede per l’appostazione a bilancio dei ricavi ingiusti? Come si distinguono i ricavi ingiusti da quelli giusti?
Ma asteniamoci dalla facile ironia, perché Robin Hood tira fuori dal cilindro una tecnicalità che sarebbe stata imbarazzante anche per un neo diplomato in ragioneria con 60/100
Afferma infatti con voce stentorea che i tassi applicati sugli impieghi sono cresciuti in modo più che proporzionale rispetto a quelli sui depositi.
Si, ha detto proprio così!
Da questa surreale affermazione si intuisce che i ricavi ingiusti siano quelli derivanti dal margine da interesse che però è solo una delle voci che concorrono al margine di intermediazione.
Se ne deduce pertanto che altre voci che confluiscono nel margine di
intermediazione (ad esempio il margine da servizi) rientrino invece tra i ricavi giusti.
Quindi le banche possono saccagnare a sangue la clientela su spese di tenuta conto, spese per operazione, spese gestione patrimoni, commissioni d’incasso/pagamento ecc. rimanendo nell’alveo dei ricavi giusti, ma devono fare molta attenzione a quello che combinano nell’intermediazione del credito.
Bene, se non altro ho imparato una nozione di tecnica bancaria che ignoravo del tutto.
Peccato però che la Banca d’Italia, che contrariamente al nostro Robin Hood padroneggia benissimo la materia, la pensi diversamente.
Nella ormai lontana fase di tassi negativi, infatti, le banche con modifica unilaterale
caricarono sulla clientela costi aggiuntivi allo scopo di recuperare la redditività erosasi sul margine gestione denaro.
La Vigilanza invitò le Banche a ripristinare non solo i tassi, ma anche le condizioni accessorie in senso più favorevole alla clientela, invito che a tutt’oggi risulterebbe largamente disatteso, evidentemente anticipando il principio governativo secondo il quale questi non rientrerebbero tra i “ricavi ingiusti”.
Anche Marco Mazzucchelli, che di banche un po’ ne capisce, osserva sulle pagine del Corriere che se da un lato appare opportuno che i banchieri si facciano un esamino di coscienza, dall’altro non ha senso colpire la sola voce del margine di interesse.
Se si vuole colpire un’eccessiva
profittabilità, infatti, è più logico intervenire sull’utile piuttosto che su di una singola componente.
Non a caso in Spagna operazioni simili hanno toccato sia il margine da interesse sia quello da commissioni.
Da parte mia, prima dell’illuminante rivisitazione dei bilanci bancari ad opera governativa, mi accorgo di aver vissuto nelle tenebre per oltre quarant’anni, basandomi su alcuni errati convincimenti che elenco di seguito:
1) I depositi della clientela possono essere a vista o a tempo. I primi sono per loro natura volatili, mentre i secondi debbono rispettare un vincolo temporale. In Italia La durata media degli impieghi è di circa 8 anni il che pone il problema di raccordare le fonti di raccolta con quelle di impiego.
La banca quindi con l’impegno di restituirti i soldi a semplice richiesta si assume il rischio di anelasticità finanziaria rispetto agli impieghi in essere. In soldoni un rischio di liquidità che potrà sembrare una sciocchezza, se non fosse che le banche saltano per carenze di liquidità, non di patrimonio. Le banche americane che andarono in default per la crisi dei mutui subprime, ad esempio, avevano ratios patrimoniali di tutto rispetto, fallendo comunque perché i clienti si portarono via i depositi a vista, mentre gli istituti erano impegnati a medio/lungo termine sul versante degli impieghi.
I depositi a tempo, invece, vengono di norma remunerati con tassi ancorati agli stessi parametri di quelli degli impieghi.
2) il margine di interesse deve spesare anche il costo del credito, cioè la quota di
impieghi che si deteriorano compromettendo la possibilità di rimborso. Non dispongo di dati aggiornati, ma credo di non essere troppo lontano dal vero se immagino una percentuale di circa il 7% di crediti deteriorati a livello di Sistema.
3) statisticamente la quota di crediti deteriorati aumenta esponenzialmente con l’aumentare del livello dei tassi e conseguentemente è lecito attendersi un incremento del costo del credito.
4) l’affermazione di cui al punto 1) non è frutto di attività divinatorie, superstizioni o credenze popolari. Esistono infatti due indicatori di riferimento per il presidio della liquidità stabiliti da Basilea III contraddistinti dagli acronimi NSFR (Net Stable Funding Ratio) ed LCR (Liquidity Coverage Ratio). Il primo è dato dal rapporto tra provvista stabile disponibile e provvista stabile obbligatoria. Il secondo invece è un indicatore di liquidità a breve termine. La raccolta a vista appunto perché esigibile in qualunque momento concorre solo al secondo indicatore e per questo motivo non si vede perché dovrebbe essere remunerata.
5) in questi ultimi 10 anni le banche italiane hanno compiuto sforzi enormi per rispettare l’asticella che la BCE metteva sempre più in alto in tema di requisiti patrimoniali. Ora in netta contraddizione con questo lungo percorso e con gli onerosi strumenti adottati per rosicchiare qualche basis point di capitale, il provvedimento nella sua forma più edulcorata comporrebbe “solo” un’erosione di 30 basis point per le prime 10 banche italiane.
Infine le banche che più si sono prodigate durante l’emergenza covid erogando impieghi a sostegno dell’economia, oltre a trovarsi esposte all’onda lunga di ritorno in termini di credito deteriorato, pagheranno pure pegno sia in termini economici sia patrimoniali.
Non so perché (o forse sì) mi torna in mente il prelievo forzoso e retroattivo del 6 per mille sui depositi operato dal governo Amato il 10 luglio del 1992.
Una durissima lezione dalla quale i nostri politici evidentemente non hanno imparato nulla.
Le analogie tra i due interventi si limitano però al fatto di aver avuto entrambi luogo in estate e che in entrambi si evidenziano i limiti di una classe politica che privilegia i colpi di mano una tantum invece di perseguire una visione più ampia e strutturale.
Ora come allora non fu concepito ad esempio alcun intervento finalizzato alla detassazione del costo del lavoro ed alla diminuzione del carico fiscale su imprese e lavoratori, recuperando risorse dalla lotta all’evasione, alla corruzione e allo sperpero di denaro nelle pubbliche amministrazioni.
Per il resto va detto che nel 1992 sussisteva un’ oggettiva situazione emergenziale, mentre oggi di emergenziale c’è un imperante pressapochismo.
Ma visto che ormai l’hanno detto e che quindi lo faranno, sarebbe interessante conoscere i meccanismi attraverso i quali i proventi di questo prelievo forzoso verranno ridistribuiti a sostegno delle famiglie per il pagamento delle rate dei mutui prima casa e per la riduzione di tasse e cuneo fiscale.
Attendo quindi con ansia che appaia sullo schermo il faccione del noto politico per illuminarci al riguardo, magari aiutandosi con qualche semplice nozione ragionieristica.
Questo forse l’aiuterebbe a tramettere l’impressione di sapere, almeno a grandi linee, di cosa stia parlando.