Le prestazioni commerciali di un determinato prodotto influiscono ovviamente sul buon andamento industriale di chi lo “sforna” o di chi ne ha assicurato gli specifici ingredienti.
Come in altri ambiti, “pecunia non olet” e l’olfatto va a braccetto con l’etica, che – spesso azzoppata da ponderate riflessioni imprenditoriali – fatica sempre più a distinguere davvero il bene dal male.
Sottigliezze tutto sommato, soprattutto quando sono in ballo gli interessi aziendali e – nel loro piccolo – i premi di produzione per i manager che hanno saputo guidare la propria realtà verso sempre più ambiziosi traguardi.
I parametri per valutare i risultati di fine anno sono i più diversi. Spesso entrano in gioco il volume delle vendite, gli incrementi rispetto gli esercizi precedenti, i margini di guadagno, i risparmi e gli ammortamenti, e tante altre voci che i contabili sanno pesare e calibrare.
Uno dei contesti di maggiore redditività è senza dubbio quello chiamato a soddisfare chi è impegnato in conflitti e – in una sorta di tossicodipendenza – ha bisogno di armi e munizioni per aggredire o per difendersi. Nel ciclo evolutivo di questo scenario – in un secondo momento – si rivela estremamente remunerativo il business della ricostruzione, dove lo sciacallaggio veste i nobili panni della generosa solidarietà.
Sono processi concatenati, indissolubili. Se non ci fosse qualcuno che provvidenzialmente distrugge con inutile violenza, non troverebbero opportunità per esprimersi al meglio i talentuosi progettisti e i solerti fornitori che portano nuovamente un raggio di sole in interi Paesi devastati.
E’ una rivisitazione del principio della fisica secondo il quale “nulla si crea, nulla si distrugge”. La moderna versione prevede l’inserimento a metà frase di un semplice, banale e apparentemente insignificante “se”. Nulla si crea se nulla si distrugge.
Rassicurati da un mercato palesemente fiorente, grati a Putin e Netanyahu per la costante richiesta di prodotti di qualità per massacrare intere popolazioni e per colpire persino la parrocchia di padre Gabriel Romanelli, riconoscenti nei confronti dei consumatori compulsavi che in Centro Africa si scannano senza avere nemmeno una telecamera che riprende stragi ed efferatezze, viene da chiedersi se l’industria italiana ha saputo trovar modo di ritagliarsi una meritata fetta di mercato.
Chi teme che il tricolore non sventoli in nessun modo dinanzi ad una così allettante torta, può stare tranquillo. La patriottica serenità di non esser stati esclusi arriva da un manifesto che ha tappezzato molte strade di Roma e in cui si legge “Guarda cosa mi ha fatto Leonardo” e si vede il volto sfigurato di un bimbo innocente.
Il manifesto è sicuramente abusivo e certo non ha rispettato la norma che regola le affissioni e dispone una piccola tassazione in proposito. Allora è giusto esprimere il proprio sdegno nei confronti dell’art director che ha immaginato quest’opera, del grafico che gli ha dato forma, del tipografo che l’ha stampata, dell’attacchino che l’ha incollata su tante pareti urbane.
Chi ha avuto la fortuna di non incappare nell’orribile poster può comunque recuperare la giusta dose di emozioni leggendo il rapporto redatto dal quotidiano The Guardian, dalla ONG “Disclose” e dal gruppo di giornalismo investigativo “Follow the money”. Nel loro report si legge della bomba GBU-39, una di quelle che festosamente rallegra gli abitanti di Gaza con quello spettacolo pirotecnico che infiamma – è il caso di dirlo – gli animi di mezzo mondo e stenta a richiamare la nostra attenzione.
Questo gioiellino è prodotto dalla Boeing con il contributo della multinazionale MBDA, azienda leader della missilistica che può contare sulla partecipazione della società pubblica che prima si chiamava Finmeccanica e oggi porta il nome del più grande genio italico di tutti i tempi.
Qualcuno (che non ha letto il codice etico) dirà che MBDA ha un ruolo marginale nella catena di approvvigionamento. E’ vero, ma quel poco è fondamentale per la buona riuscita del prodotto in questione. La MBDA, come la bevanda energetica Redbull nelle sue pubblicità, a quella bomba “ci mette le ali”.