Lettura altamente raccomandata, le 69 pagine della parte A, “Una strategia competitiva per l’Europa” e le 328 della parte B, “Analisi di dettaglio e raccomandazioni” che costituiscono il rapporto, curato da Mario Draghi e da lui presentato il 9 settembre scorso: “Il futuro della competizione europea”. Lettura che richiede tempo e non sempre si trova.
Se questo è il caso, vi andiamo a raccontare, riassumendo i punti salienti della premessa, perché il rapporto dice che la situazione per l’Unione Europea è, a dir poco, drammatica.
Partiamo dal prodotto nazionale lordo dell’Europa. Il suo valore, in rapporto a Stati Uniti e Cina, dal 2000 a oggi, è sempre diminuito. Il fossato non ha fatto altro che crescere, ma nell’ultimo quarto di secolo ci si è arrabattati, sono stati trovati dei palliativi e la mancanza di crescita europea è stata vista come un inconveniente.
Oggi è una calamità per un insieme di ragioni.
Il paradigma globale su cui si sono basati i correttivi del recente passato è cambiato. La crescita rapida del commercio globale è cessata. L’Europa ha perso il suo fornitore primario di energia: la Russia. La stabilità geopolitica internazionale sta evaporando. La dipendenza dall’estero è diventata una grave vulnerabilità. Il cambiamento tecnologico sta accelerando.
L’Europa ha perso il treno della rivoluzione digitale spinto da internet e dai miglioramenti di produttività da esso alimentati ed è debole nelle tecnologie emergenti che spingeranno la crescita futura. Non per nulla solo quattro delle 50 aziende globali leader nella tecnologia sono europee.
La popolazione europea diminuisce e non sarà in grado di sostenere la crescita economica. Perché accada si può solo fare affidamento sull’aumento di produttività.
Inoltre si deve digitalizzare e decarbonare l’economia e aumentare la capacità di difesa europea.
L’Europa non ha altra scelta: deve essere più produttiva.
Servono soldi. Gli investimenti devono crescere in modo importante per arrivare, su base annua, al 5 per cento del prodotto nazionale lordo. Situazione mai vista prima. A titolo di confronto, gli investimenti del piano Marshall ammontavano all’1-2 per cento del prodotto nazionale lordo annuo.
Se non si investe, se non aumenta la produttività, non saremo leader nella tecnologia. Non saremo esempio nelle politiche ambientali. Non saremo attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo capaci di finanziare il nostro modello sociale e dovremo ridimensionare le nostre ambizioni. Noi è l’Unione Europea.
L’Europa è di fronte a una sfida esistenziale che coinvolge i suoi valori fondanti: prosperità, uguaglianza, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile.
L’Unione Europea esiste per garantire ai cittadini dei Paesi membri questi diritti. Se non può più farlo, o deve rinunciare ad alcuni di essi, non ha più motivo di esistere.
Opportuno ripeterlo: perché ciò non accada occorre crescere, essere più produttivi, conservando i valori di base di uguaglianza e inclusione sociale.
Esiste un solo modo per farlo: cambiare in modo radicale.
Tre sono le principali aree di intervento. Non si parte da zero in nessuna di esse. Abbiamo ancora dei punti di forza, ma collettivamente stiamo fallendo nel convertirli in industrie produttive e competitive a livello globale.
Occorre ridurre, azzerare la distanza fra l’innovazione europea e quella di Stati Uniti e Cina, specialmente nelle tecnologie di punta.
Si deve ridare dinamismo alla struttura industriale europea, troppo statica, dove nascono e crescono poche nuove aziende, capaci di rompere, modificare i comparti industriali esistenti e sviluppare nuovi motori di crescita.
Negli ultimi cinquant’anni non è nata nemmeno una azienda europea che abbia oggi una capitalizzazione di mercato sopra i 100 miliardi di euro. Invece, tutte le aziende USA con una valutazione attuale sopra i 1000 miliardi, sono state create negli ultimi cinquant’anni. Le aziende europee sono specializzate in tecnologie mature dove il potenziale di innovazione è limitato. Spendono meno in ricerca e sviluppo: 270 miliardi in meno dei loro competitori statunitensi, dato del 2021.
Il problema non è che in Europa manchino idee o ambizione. I talenti ci sono. Gli imprenditori pure. Non siamo capaci di tradurre l’innovazione in prodotti, in mercato. Le aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono bloccate da regolamentazioni inconsistenti e restrittive. Tra il 2008 e il 2021, circa il 30 per cento degli “unicorni” nati in Europa, ovvero nuove aziende che sono arrivate ad essere valutate più di un miliardo di dollari, hanno spostato il quartiere generale all’estero, nella maggior parte dei casi negli Stati Uniti.
Occorre ridurre la burocrazia, rendere più efficienti le decisioni per agire con rapidità. “L’Unione non si coordina laddove è importante e le regole decisionali europee non si sono sostanzialmente evolute con l’allargamento dell’Unione Europea e con l’aumento dell’ostilità e della complessità dell’ambiente globale che dobbiamo affrontare”, ha affermato Draghi.
L’Europa deve smettere di sprecare risorse. La capacità di spesa esiste, ma viene diluita in mille rivoli che non alimentano nulla.
L’Europa non è capace di coordinarsi dove serve.
Vedi la strategia industriale. L’Europa deve dotarsi di una strategia industriale degna di questo nome, ma non è stata capace di coordinarsi in modo costruttivo per farlo. Si legge nel rapporto: “Le strategie industriali oggi, come si vede negli Stati Uniti e in Cina, combinano più politiche, tra cui la politica fiscale, commerciale ed estera. A causa del suo lento e disaggregato processo di elaborazione delle politiche, l’UE è meno in grado di produrre una risposta di questo tipo”.
La domanda chiave che si pone il rapporto è come l’UE possa finanziare i massicci investimenti necessari per la trasformazione della sua economia.
Due sono le risposte fornite.
In primo luogo, mentre l’Europa deve procedere con la sua Unione dei mercati dei capitali, il settore privato non sarà in grado di sostenere la parte del leone nel finanziamento degli investimenti senza il sostegno del settore pubblico.
In secondo luogo, quanto più l’UE sarà disposta a riformarsi per generare un aumento della produttività, tanto più aumenterà lo spazio fiscale e più facile sarà per il settore pubblico fornire questo sostegno.
Per massimizzare la produttività, saranno necessari finanziamenti congiunti per gli investimenti in beni pubblici europei chiave, come l’innovazione distruttiva.
Allo stesso tempo, ci sono altri beni pubblici –difesa o le reti transfrontaliere – che senza un’azione comune non saranno disponibili nelle quantità richieste.
Si deve abbandonare l’illusione che la procrastinazione possa preservare il consenso. In effetti, ha solo prodotto una crescita più lenta e certamente non ha generato consensi. Siamo arrivati al punto in cui, se non si agisce, il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà saranno compromessi.
Affinché una strategia abbia successo (è anche il caso di quanto presentato nel rapporto “Il futuro della competizione europea”) si deve partire dalla valutazione condivisa, non importa quanto dolorosa, del posizionamento, di dove si è, della realtà. Poi occorre definire gli obiettivi prioritari, i rischi da evitare e i compromessi che si è disposti a fare.
Nel caso dell’Unione Europea, le istituzioni, democraticamente elette, devono essere al centro di queste attività perché le riforme possono essere veramente ambiziose e sostenibili solo se godono del sostegno democratico.
Conclude Draghi: “Dobbiamo assumere una nuova posizione nei confronti della cooperazione: rimuovendo gli ostacoli, armonizzando regole e leggi e coordinando le politiche. Ci sono diverse modalità con cui possiamo andare avanti. Ma ciò che non possiamo fare è non andare avanti affatto.
La nostra fiducia nel riuscire ad andare avanti deve essere forte. Mai in passato la dimensione dei nostri Paesi è apparsa così piccola e inadeguata rispetto alla portata delle sfide. L’autoconservazione non è mai stata una preoccupazione così tanto condivisa. Le ragioni per una risposta unitaria non sono mai state così convincenti – e nella nostra unità troveremo la forza per riformare”.
Una grande visione per l’Unione Europea, certamente da condividere.
Già… intanto noi si ha a che fare con l’ipo-visione meloniana che si preoccupa delle deleghe dell’ottimo Fitto.
Melony, ci sei? Ce la fai? Sei connessa?