Nel 1903 Pierre Curie, premio Nobel per la fisica, dichiarò che non lo avrebbe accettato se Marie Curie, sua moglie e sua collega, ne fosse stata esclusa; così ella fu insignita della ben meritata onorificenza. Ciò non accadde per Mileva Marić in Einstein (1875-1948), né per tante altre scienziate, sconosciuta ai più, e prima moglie di uno degli uomini più famosi del mondo. Mileva fu una matematica e fisica serba, intelligente e colta, schiva e riservata, perfetta bilingue, nata da una famiglia agiata, che le permise di effettuare gli studi di fisica superiore, cosa molto rara nel 1800. Frequentò infatti il politecnico di Zurigo, l’unico, all’epoca, che accettasse donne nelle università; qui conobbe Albert Einstein. I due si innamorarono, ma la carriera universitaria di Mileva terminò nel 1901: in quanto incinta e nubile, evento vergognoso nel 1800, venne boicottata e non riuscì a superare gli esami finali. Tornò dai genitori ed ebbe una bambina che non poté tenere, e di cui non si conosce di preciso la sorte. Marić ed Einstein si sposarono poi nel 1903, dopo morte del padre di lui, da sempre contrario al loro matrimonio; ufficialmente lei si occupava del secondo figlio e della casa, mentre il marito nel 1905 elaborava la sua teoria sulla relatività. Dopo il terzo figlio, divorziarono nel 1919, essendosi lo scienziato innamorato della propria cugina, che poi sposò. Tra le clausole del divorzio, Mileva ottenne la promessa che se mai l’ex marito avesse vinto il Nobel, i proventi sarebbero stati versati a lei ed ai figli. Secondo recenti documenti, Einstein investì gran parte somma negli Usa, e la perse durante la Grande Depressione. La Marić, dopo tutti i sacrifici e la forzata rinuncia ad un passo dalla laurea, passò il resto della sua difficile vita tra problemi economici, tra due guerre mondiali, dedicandosi al figlio schizofrenico. Ma serve ora un po’ di giustizia, per questa eroina: verso la fine del 1980 venne rinvenuto un epistolario tra coniugi, risalente a prima della separazione, da cui si evince che la fisica serba avrebbe collaborato ai lavori di Einstein. Su ciò sono in corso ricerche ed approfondimenti, in quanto sono emerse delle prove, di cui citeremo solo le più importanti, che la Marić sia addirittura coautrice di molte delle ricerche del celeberrimo marito. Non solo in base alle lettere rinvenute, ma anche alle dichiarazioni di parenti ed amici, è certo che Mileva ed Albert Einstein cooperarono sistematicamente, sin dai tempi dell’università e fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Del resto, nel carteggio Einstein scrive usando il plurale, “nostro lavoro, nostro articolo, nostro punto di vista”. Oppure: “come sarò felice e orgoglioso quando avremo terminato con successo il nostro lavoro sul moto relativo” e suggerisce “anch’io sono molto contento dei nostri nuovi lavori. Adesso devi proseguire la tua ricerca”; in una missiva Mileva confida ad un’amica “abbiamo da poco terminato un articolo che renderà mio marito famoso in tutto il mondo”. Per questo molti studiosi, come il fisico Evan Walker, sono certi che la moglie abbia partecipato all’elaborazione iniziale delle teorie sulla relatività dell’illustre marito. Difatti Mileva studiò per mesi l’effetto fotoelettrico con il Prof. Lenard, Nobel per la fisica nel 1905, specializzandosi sull’argomento, che non a caso è alla base del lavoro per il quale Einstein vinse il premio Nobel; infatti giova precisare che egli fu premiato per lo studio dell’effetto fotoelettrico, non per la legge della relatività. Ricordiamo poi che egli era un genio della fisica, ma non della matematica, su cui necessitava del supporto della consorte (e più tardi anche di alcuni colleghi). Pare infatti che dichiarasse “ho bisogno di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici”. Infine, nel 1905, famoso Annus Mirabilis, il genio di Ulm pubblicò a raffica i cinque articoli più importanti della fisica moderna: ma la celerità con cui li presentò, nonostante lavorasse tutto il giorno all’Ufficio Brevetti, suggerisce un aiuto da parte Mileva, l’unica in famiglia in grado di farlo. Strano anche che, dopo morte di Einstein nel 1955, la nuora cercò di pubblicare le lettere ricevute dai genitori, ma ciò le fu impedito per via legale dagli esecutori testamentari del Nobel. Probabilmente Mileva non co-firmò gli articoli per non sminuirne l’importanza, visti i pregiudizi ottocenteschi contro le donne, perché chi portava il pane a casa era il marito. Infatti quando nel 1908 i coniugi costruirono e brevettarono un voltmetro, lei rifiutò di firmare dicendo “Che senso ha? Siamo entrambi una sola pietra”. Inoltre, nel 1955, il fisico sovietico Ioffe scrisse che nel 1905 aveva letto i manoscritti originali (andati persi) di alcuni articoli, prima della loro pubblicazione, il cui artefice era un certo Einstein-Marity; ma Marity è la versione ungherese di Marić. Oggi la discussione sulla coautorialità del lavoro di Marić-Einstein prosegue, anche se ormai la maggior parte degli analisti propende per il coinvolgimento della metodica Mileva: lui vulcanico e disordinato, lei tenace e precisa, ha svolto le ricerche scientifiche per le quali lui, all’epoca, non poteva averne il tempo materiale. Resta il fatto che, indipendentemente dall’entità del contributo di Mileva Marić all’operato del marito, la sua importanza come matematica e fisica non può essere più ignorata, perché le prove ci sono, eccome.
Come ultima curiosità: pare che il nuovo Einstein del terzo millennio sia una giovane donna, tale Sabrina Gonzales Pasterski, ingegnere aerospaziale, fisica e inventrice, specializzata in astrofisica e ricerca sulla gravità quantistica.
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